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Naming divini di vini

Naming divini di vini

di Giovanni Sodano Maggio 25, 2020

Premetto. Non sono un grande conoscitore di vini, ma l’incontro della scorsa settimana con OnFoodHub mi ha portato a fare delle ricerche sull’argomento che ha fatto emergere alcune considerazioni davvero interessanti.

Per questo motivo ringrazio Frank M. De Feo e Nicola Cerrano che mi hanno permesso di partecipare a questo evento.

Ma andiamo subito al sodo, visto che parliamo di naming di vini.

La maggior parte dei vini in commercio trae il proprio nome dall’azienda, dal vitigno oppure dal luogo dove cresce l’uva. 

Ogni vitigno ha delle caratteristiche particolari che variano in base a fattori specifici come per esempio il terreno, la quantità di sole che riceve, quella di pioggia, il pendio della collina o del monte e così via. Queste caratteristiche rendono ogni uva diversa e particolare. 

Se ne deduce che se le uve sono diverse, anche i vini sono diversi e ogni vino riflette il luogo in cui cresce l’uva che contiene.

Ma partiamo dal target.

Principalmente i consumatori di vino si possono dividere in due grandi macro categorie: gli intenditori e tutti gli altri

Questi ultimi cercano il rapporto qualità/prezzo, sono attratti dalle offerte e cambiano bottiglia ad ogni acquisto non ponendo particolare attenzione ai nomi. 

I primi invece, cercano la qualità, sono disposti a spendere di più per bere meglio, si attengono alle loro preferenze e possono essere fidelizzati.

Quindi, stabilito qual è il nostro target, dobbiamo trovare un nome che sia in linea con le sue aspettative. Memorabile, distintivo, caratteristico, evocativo per gli intenditori e semplice ma accattivante per i bevitori occasionali.

Il compito dei produttori deve essere sempre quello di rendere i loro prodotti interessanti per il pubblico di riferimento. 

Con il marketing, naturalmente, ma prima ancora con il nome del vino

Già dal nome, infatti, devono essere percepite le prime sensazioni e questo deve possedere tutte le caratteristiche del prodotto che differenzia.

Elegante, corposo, leggero, equilibrato, delicato, ricco, strutturato, fruttato e chi più ne ha, più ne metta, il nome deve rispecchiare il gusto e l’esperienza del produttore.

La primissima azione da fare quando si cerca il nome per un nuovo vino è fare brainstorming.

Bisogna cercare parole che descrivano le sensazioni e la personalità del prodotto senza pensarci troppo. 

Bisogna divertirsi in questa fase, perché è quella migliore.

Tieni presente che un brand può essere sciocco, romantico o anche sentimentale: basta che funzioni.

Ma come si fa?

Parti dai valori che vuoi trasmettere: cerca delle parole che evochino un significato ed associale con altre parole come bottiglia, vetro, rosso, bianco, uva.
Scrivi un elenco con le caratteristiche del prodotto: anima bianca, sorso rosso, cuore nero, uva fugace, e così via.

Prova le allitterazioni: vino veritas, grandi grappoli, wine wink, rosso rubino, eccetera. Sai, esiste un vino californiano che si chiama Merlin Merlot

Non sottovalutare la concorrenza: analizza i nomi degli altri e segna le idee che trovi nei loro nomi.  Per esempio il vino Katà viene prodotto con una particolare uva catalanesca che si coltiva nel napoletano alle pendici del Monte Somma. Nota il suono interessante di Katà e il tono interrogativo indiretto che trasmette.

Aggiungi alle idee che hai raccolto tutte le note del vino, le caratteristiche, il vigneto, la collocazione geografica. Annota tutto e configura le parole in modo diverso.

A questo punto usa tanta creatività e un pizzico di follia. 

Il musicista Sting, cantante dei Police, nel suo vigneto a Il Pelagio sceglie i nomi dei suoi vini ispirandosi a sua figlia (Vino Sofia), a famosi registi (Vino Francis Ford Coppola) oppure a canzoni senza tempo (Vino Message in a Bottle).

I nomi dei vini, tuttavia, possono essere davvero particolari e interessanti quali oggetti di studio.

Il Cabernet Sauvignon e il Bordeaux sono esattamente lo stesso tipo di vino, ma i nomi sono diversi e possono confondere le idee. 

In realtà il secondo prende il nome dalla regione in cui è stato fatto, mentre il primo prende il nome dal vitigno.

Ma qual è il nome giusto? Dipende dai consumatori.

Ovviamente siamo in Francia e potremmo dire, per esempio, che le vecchie generazioni preferirebbero un vino con una collocazione territoriale perché riuscirebbero a sentire maggiormente quello che è il senso di appartenenza e l’esclusività del territorio rispetto, ad esempio, alle nuove generazioni  che porrebbero un focus maggiore sul prodotto e quindi sceglierebbero il vino per il nome dell’uva.

Altro fattore è la zona di produzione. Il vino prodotto a Bordeaux porta questo nome mentre un vino Cabernet Sauvignon potrebbe non essere prodotto in quella specifica zona della Francia e, citando mio nonno, “lo stesso vino se lo bevi in cantina ha un sapore diverso rispetto a se lo bevi dentro casa”.

Vecchie generazioni e nuove generazioni sono una “forzatura” che mi ha ispirato Giuseppe Festa, di Wine Business, Corso di perfezionamento universitario e aggiornamento culturale dell’Università di Salerno. Il dott. Festa ha parlato di vini nel vecchio e nel nuovo mondo riferendosi principalmente nel primo caso alla vecchia Europa e in particolare a Francia, Italia, Spagna, Portogallo e Germania, mentre nel secondo caso alle nuove zone di produzione di vini senza tradizioni di vinificazione secolari che sono Africa, Australia, Sud e Nord America. 

Giuseppe ha anche introdotto il concetto, a me sconosciuto, di “terroir” ovvero dell’identificazione dei vini a partire da una serie di fattori che li rendono unici e riconoscibili. Con il termine terroir, infatti possiamo identificare le condizioni ambientali, le caratteristiche del terreno e la tradizione enologica di una specifica zona di produzione che influenzano le proprietà organolettiche e la tipicità del vino.

Ma torniamo a noi.

Rimanendo in Francia, non possiamo non parlare dello Champagne. Sapevi che questo vino pregiato prende il nome della provincia storica della Champagne, situata nella regione francese del Grande Est? Non è difficile, tuttavia, sentirsi dire (erroneamente) che il nome derivi dalle famose uve di Corinto Nero, dette anche uve Champagne che vengono dalla Grecia e che vengono vendute esclusivamente con ribes essiccato. Lo Champagne in realtà contiene tre varietà di uva: la Chardonnay, la Meunier e la Pinot Nero.

Come avrai potuto intuire, il vino è una cosa seria: l’export italiano supera ormai il 50% del valore della produzione e di questo, quasi il 60% viene esportato nei paesi extraUE.

Sostanzialmente, chi produce vino in italia non può ignorare il mercato internazionale.

Gli stranieri apprezzano e gli italiani vendono.

La domanda dunque è: come si entra nei mercati esteri partendo dal nome del vino?

Una risposta banale potrebbe essere che ogni bottiglia deve raccontare una storia ed evocare emozioni. 

Per il mercato italiano, come abbiamo detto, nella maggior parte dei casi il nome è legato alla zona di coltivazione delle uve oppure corrisponde al cognome della famiglia produttrice. Meno spesso, è un nome di fantasia che richiama un valore dell’azienda.

Per il mercato estero, invece, alcuni studi dicono che esiste una corrispondenza diretta tra la semplicità della pronuncia del nome di un vino e la propensione all’acquisto da parte del consumatore.

La lingua, quindi, diventa un elemento determinante quando ci si approccia ad un mercato diverso e ad un paese diverso, facendo entrare in gioco alcune logiche fonetiche (di suono) e semantiche (di significato) che possono decretare la fortuna o l’insuccesso del prodotto.

Facciamo, come al solito, degli esempi sbagliati.

Il Tocai Friulano durante EXPO 2016 si è fatto notare dal pubblico cinese, canadese e statunitense per la sua impronunciabilità. 

Quanti comprerebbero un prodotto del quale non riescono nemmeno a leggere il nome sull’etichetta?

Allo stesso modo, un consumatore russo e uno cinese avrebbero serie difficoltà a distinguere un “Casale dei Papi” rispetto a un “Casale dei Principi”.

All’estero vince quasi sempre la distintività: che differenza potrebbe notare un consumatore extra UE tra un Marziano Abbona e un AnnaMaria Abbona?

Per capire quanto possa essere complicato cercare un nome valido per l’estero, in pieno periodo post-pandemia parliamo velocemente proprio della Cina.
Questo paese mi ha sempre affascinato per la sua lingua oltre che per la sua cultura.

Il cinese è una lingua logografica, cioè ad ogni ideogramma corrisponde un significato e una sillaba specifica. 

I marchi vengono traslitterati, ovvero tradotti nel sistema linguistico cinese e queste traslitterazioni possono essere principalmente di tre tipi:

    • fonetiche quando mantengono solo il suono
    • concettuali, mantengono il significato ma perdono il suono
    • fonetiche e concettuali allo stesso tempo

Il cinese, inoltre, è una lingua “tonale” perché fa uso di accenti. 

In tutto ce ne sono cinque.

    • Il primo tono è piatto come nella parola 妈妈, māma (mamma)
    • Il secondo determina una pronuncia ascendente, ad esempio in 什么, shénme (costruzione usata per chiedere qualcosa)
    • Il terzo tono determina una pronuncia discendente e poi ascendente, ad esempio in 好, hǎo (buono, bene)
    • Il quarto determina una pronuncia discendente, come nel carattere 是, shì (il verbo essere)
    • Il quinto e ultimo tono è neutro, ad esempio nella particella interrogativa 呢, ne

In questo contesto linguistico la sonorità italiana viene premiata ma la traduzione del significato, se non ponderata correttamente, può penalizzare così come l’uso esclusivo della fonetica che può portare a una perdita di significato.

Per fare un esempio, possiamo citare il caso di Castel Frères, un’azienda francese entrata nel mercato cinese nel 1998. Qualche mese dopo un cittadino privato cinese registra il marchio “卡斯特” (pronunciato: “kǎ si te”). 

Quando l’azienda francese prova a registrare il proprio marchio, la domanda viene rifiutata. 

Ciò da il via a una serie di vicende giudiziarie che si sono protratte fino al 2012  che hanno obbligato la Castel Frères a un risarcimento nei confronti del cittadino cinese di circa 5 milioni di euro (successivamente ridotti a 75.000 euro) in quanto tutte le importazioni in Cina del gruppo Castel sono state dichiarate letteralmente contraffazione.

Scegliere il nome giusto vuole dire mettere basi concrete per avere successo.

Parliamo adesso di comunicazione.

Ogni produttore comunica e pone il focus sulla bontà del proprio vino. E ciò è sacrosanto. La bontà, la qualità del prodotto è indispensabile ma la comunicazione che ne deriva come appare? 

Piatta, uguale per tutti.

Facendo una ricerca sulle variabili che influenzano i fattori di acquisto di un prodotto notiamo che le principali sono il prezzo, la provenienza e il brand.

Tralasciando i primi due possiamo dire che il brand rappresenta un elemento distintivo e di comunicazione davvero importante soprattutto per questa tipologia di prodotto: il vino è un fattore sociale, se ne parla e si discute mentre si degusta in abbinamento con altri cibi. 

Chi consuma un brand distintivo deve sentirsi elevato ad uno status differente, come se stesse guidando una Ferrari.

L’errore dei produttori

Uno dei grandi errori che spesso fanno i produttori di vino è avere fretta.

Le aziende vinicole sono impazienti di vendere, di ampliare la loro offerta commerciale.

Spesso e volentieri vengono omesse quelle che sono le verifiche di preesistenza rischiando di perdere soldi precedentemente investiti in etichette e nomi simili tra di loro e, quasi mai i nomi e i marchi vengono tutelati con le registrazioni agli uffici preposti rischiando di incorrere in problemi non di poco conto come quello che abbiamo visto poco fa. 

E durante il webinar dal quale è nato questo contenuto, Daniela Triggiano, project manager di Intelliform srl, ha ricordato che esistono degli incentivi statali che aiutano i produttori nella tutela del proprio brand anche a livello internazionale.

Concludendo, faccio una considerazione. 

Con il tempo tutto si evolve: cambia il lettering, cambia il logo, cambiano le etichette e il packaging. Tutto cambia tranne il nome. Quello resta uguale. Il nome è il patrimonio dell’azienda e la memoria storica del prodotto.


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