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La globalizzazione nel Naming

La globalizzazione nel Naming

di Giovanni Sodano Luglio 10, 2019

Il nome di un prodotto, oppure di un’azienda, può essere davvero il suo biglietto da visita, l’elemento con il quale i prodotti verranno identificati in modo univoco, e verranno amati dal pubblico.

Tuttavia, sempre più aziende devono pensare anche all’esportazione dei propri prodotti, e al fatto di dover affrontare le conseguenze di questa esportazione.

Infatti, in alcuni casi cambiare il nome di un prodotto, o addirittura dell’intera linea di produzione, può essere una decisione obbligata, e può portare a notare comunque una serie di effetti positivi.

Con alcuni esempi potrai capire che cosa significhi affrontare quella che è da definirsi come la globalizzazione del naming.

Cambiare o non cambiare?

Prima di affrontare quelli che sono gli esempi pratici sarà necessario valutare quello che dovrebbe essere il parametro “principe” del naming: il guadagno.

In fondo, tutte le aziende che affrontano il processo di creazione e di affidamento di un nome lo fanno per guadagnare di più, per diventare uniche e sbaragliare la concorrenza.

Ed è per questo che in alcuni casi i produttori possono essere restii a modificare, per un altro tipo di mercato, il nome della propria linea di produzione.

Si pensa, infatti, che cambiare il nome potrà essere oneroso, potrà portare solo ad una perdita di tempo e di denaro.

Di contro, si potrà vedere nel cambio di nome un’opportunità per rendere più appetibile il prodotto anche in altri Paesi.

Qui potrai vedere esempi sia di un tipo di scelta, sia di quello opposto.

Le aziende che hanno cambiato nome

Esistono molti esempi di prodotti che vengono commercializzati con un nome differente a seconda dei Paesi, e non solo per eventuali problemi di pronuncia, ma perché il nome risulta più vincente rispetto a quello originario.

Hai presente il famoso snack Twix? Ebbene, il suo nome originale non è questo, ma è Raider, un nome completamente differente, ma che in Italia, in effetti, non avrebbe avuto il medesimo effetto e lo stesso “mordente”.

Le famose creme Oil of Olaz in realtà negli Stati Uniti si chiamano Olay: questo cambio di nome è stato determinato nuovamente da esigenze di marketing.

Olay non sarebbe stato ugualmente apprezzato in Italia, e l’inserimento, invece, della componente legata all’olio indicava, soprattutto nel passato, quanto queste creme potessero essere idratanti, in quanto erano nate in modo particolare per le pelli mature.

Un esempio tutto italiano di variazione del nome è quello dell’Algida. La società italiana, infatti, ha un nome differente in tutti gli stati nei quali essa sia presente.

Si chiama, ad esempio, Eskimo in Austria, Miko in Francia, Good! Humor negli Stati Uniti, Wall’s nel Regno Unito e Langnese in Germania.

Tuttavia, pur pensando a nomi diversi, si è deciso di inserire un tratto in grado di accomunare tutti i diversi marchi: il cuore.

Il logo, infatti, è stato modificato nei primi anni Duemila con l’inserimento di un cuore, che ha fatto auto-definire l’azienda come “The heart brand”, il “Marchio del Cuore”. In questo modo, anche viaggiando, il consumatore saprà sempre che i gelati presenti in un locale saranno dell’Algida.

Le aziende che non cambiano

Esiste anche il fenomeno opposto: quello di aziende che mantengono lo stesso nome in tutto il mondo per i propri prodotti.

Un esempio italiano è costituito dalla Nutella: questa si chiama così davvero ovunque, e nonostante le storpiature che si potranno notare in alcune zone, essa mantiene la sua forte identità anche lontano dall’Italia.

Lo stesso accade per la Barilla, che cerca di mantenere non solo intatto il nome dell’azienda, ma anche quello delle diverse specialità, che avranno, quindi, un che di esotico e di “assolutamente italiano” in ogni Paese del mondo.


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