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Guida all’uso di una fotocamera reflex

Guida all’uso di una fotocamera reflex

di Giovanni Sodano Ottobre 29, 2010

Impariamo a conoscere le caratteristiche della nostra fotocamera reflex digitale

Introduzione

Se avete appena comprato, o se vi hanno regalato una fotocamera reflex, sicuramente utilizzando le impostazioni automatiche, riuscirete a scattare delle buone fotografie.
I programmi manuali, tuttavia, permettono di ottenere dei risultati ancora migliori a patto, però, di sapersi districare tra funzioni come priorità di tempo, di diaframma profondità di campo.

A seguire, quindi, cercheremo di spiegare questi termini e ci addentreremo nelle impostazioni di una fotocamera reflex professionale. Le spiegazioni fornite riguardano, nello specifico alcuni modelli di fascia alta di fotocamera Canon EOS, ma i concetti possono essere applicati alla totalità delle fotocamere reflex.

1. La luce

Lo scopo del fotografo è impressionare correttamente la pellicola (o il sensore), cioè far arrivare sulla pellicola o sul sensore la giusta quantità di luce.
Qualsiasi macchina regola la quantità di luce che raggiunge sensore o pellicola tramite iltempo di posa, o tempo di apertura dell’otturatore, e l’apertura del diaframma, una sorta di “pupilla” contenuta all’interno dell’obbiettivo che può essere aperta o chiusa per permettere il passaggio di più o meno luce.
Immaginate di avere un bicchiere d’acqua da riempire fino all’orlo.
In questo esempio, l’acqua equivale alla luce, il tempo in cui tenete aperto il rubinetto corrisponde al tempo di posa (o, brevemente, “tempo”) e l’apertura del rubinetto equivale all’apertura del diaframma.
É intuitivo che si può ottenere lo stesso riempimento, cioè la stessa esposizione, sia con tempi brevi e ampie aperture che, viceversa, con tempi lunghi e aperture più piccole. In entrambi i casi, la foto apparirà esposta correttamente, cioè ricca di dettagli sia nelle zone più chiare sia nelle zone più scure, ma il risultato finale sarà molto diverso.
Tempi e diaframmi influenzano infatti due aspetti fondamentali della fotografia, vale a dire il movimento e la porzione di immagine che risulterà a fuoco (la cosiddetta profondità di campo). Il lavoro del fotografo consiste allora nello scegliere, tra le numerose possibilità, l’accoppiata tempo-diaframma che più si addice ai suoi scopi.

2. La scala dei tempi

L’unità di misura del tempo è ovviamente il secondo.
In fotografia, un tempo tipico di posa dura una frazione di secondo, ad esempio 1/125 di secondo. Per brevità quindi si indica a volte solo il denominatore della frazione, lasciando gli apici solo ai secondi interi. Così 1/125 di secondo si scriverà 125, 4 secondi si scriverà 4″ ecc.

Con queste convenzioni, una scala di tempi indicativa è la seguente:

1 | 2 | 4 | 8 | 15 | 30 | 60 | 125 | 250 | 500 | 1000

L’estensione di questa scala dipende dalla fotocamera in uso; esistono modelli che arrivano a 30 secondi a un estremo della scala e a 1/8000 di secondo all’altro estremo, ma quelli qui indicati sono pressoché comuni a tutte le fotocamere. Notate che i tempi sono sempre (all’incirca) uno il doppio dell’altro.

A confronto gli effetti di un tempo di posa lungo e breve. Notate come, col tempo breve, siano distinguibili i singoli spruzzi d’acqua, mentre col tempo lungo questi disegnino una scia, dando un effetto del tutto diverso.

La scelta del tempo è legata al concetto di movimento del soggetto. In generale, un soggetto mosso è indesiderabile, quindi sarà necessario utilizzare un tempo abbastanza breve da “congelarlo“, un lasso di tempo cioè durante il quale il soggetto non si muova apprezzabilmente.
Per dare qualche esempio, con 1/125 si fotografano tranquillamente persone e gruppi; con 1/250 si possono fotografare soggetti in movimento, ad esempio una modella che si muove su un set; 1/500 basta per soggetti come bambini che giocano, mentre con1/1000 si possono fotografare eventi sportivi già “difficili” (l’attaccante al momento del tiro, l’auto all’uscita dalla curva). Tempi più brevi sono strettamente necessari in rarissimi casi, ad esempio nel caso di oggetti molto veloci che si muovono perpendicolarmente all’osservatore, ma possono naturalmente essere utilizzati per ottenere la giusta apertura del diaframma (ricordate sempre che è una regolazione a due parametri). Tempi più lunghi si possono sempre utilizzare, ma richiedono via via più attenzione. Anche nel caso di un soggetto immobile, infatti, si corre il rischio che la foto venga “mossa” a causa del tremolio delle mani del fotografo. Esiste quindi un “tempo di sicurezza” oltre il quale non è mai consigliabile andare, a meno di utilizzare un cavalletto. Torneremo tra poco sul concetto di tempo di sicurezza.

Non sempre, però, il “mosso” è una componente negativa delle foto: può essere anche voluto, ad esempio per creare un effetto di “panning” o per fotografie notturne con le scie luminose lasciate dai fari delle auto. In questo caso, munitevi di cavalletto e via con tempi molto lunghi, anche diverse decine di secondi.

Un esempio di “panning”. In questo caso, il fotografo ha impostato un tempo volutamente lungo e ha seguito con l’obbiettivo il soggetto al centro, che quindi appare grossomodo “fermo” mentre lo sfondo sembra scorrere sotto di lui.

3. L’apertura del diaframma

L’apertura del diaframma non viene misurata in millimetri, come sembrerebbe ovvio, ma dal numero adimensionale “f“, dato dal rapporto tra la lunghezza focale dell’obbiettivo utilizzato, espressa in mm, e il diametro del diaframma, sempre in mm. Questa apparente complicazione è giustificata dal fatto che, in questo modo, si elimina la scomoda dipendenza tra la luce che attraversa un obbiettivo e le sue dimensioni fisiche. Così, a un determinato valore di “f” corrisponde sempre la stessa quantità di luce, che si utilizzi un grandangolo o un teleobbiettivo estremo. Notate che, essendo il diametro al denominatore della frazione, a numeri “f” elevati corrispondono piccole aperture, e quindi una ridotta quantità di luce che raggiungerà la pellicola o il sensore.

Una scala di diaframmi indicativa è la seguente:

32 | 22 | 16 11 | 8 5.6 4 | 2.8 | 2 1.4 | 1

Questi valori, apparentemente strani, sono stati scelti in modo tale che, passando dall’uno all’altro a parità di tempo di posa, la luce che raggiunge il sensore raddoppia o dimezza. Ad esempio, con la coppia 125 – f/8 passerà la metà della luce che passa con la coppia 125 – f/5.6, un quarto di quella che passa con 125 – f/4, ecc.

Anche l’estensione di questa scala dipende dalla fotocamera (nel caso delle compatte) o dall’obbiettivo utilizzato (nel caso di reflex a obbiettivi intercambiabili). L’apertura maggiore, cioè il numero più basso di “f”, è la luminosità massima, un dato molto importante. Un obbiettivo molto luminoso consentirà di scattare foto anche in condizioni di illuminazione peggiori di uno poco luminoso, ed è quindi più pregiato. Purtroppo, questo pregio si può pagare molto caro: a titolo di esempio, un 300mm f/4 costa tipicamente meno di €2000 mentre un 300mm f/2.8 della stessa marca e di pari qualità arriva a €6000!

La scelta del diaframma è legata al concetto di profondità di campo. Tanto maggiore è “f”, tanto più ampio sarà l’intervallo di distanza dalla macchina entro cui i soggetti risulteranno a fuoco. Anni fa, sui corpi degli obbiettivi a messa a fuoco manuale, era indicata la profondità di campo in metri; il fotografo poteva quindi sapere, prima dello scatto, che un dato diaframma avrebbe prodotto ad esempio soggetti a fuoco tra 3 e 5 metri di distanza, mentre passando al diaframma più chiuso avrebbe messo a fuoco tutto quello che era compreso tra i 2,5 e i 9 metri di distanza. Ora questa informazione non è più indicata, ma alcuni modelli consentono di controllare visivamente la profondità di campo prima dello scatto.

Utilizzando un diaframma aperto, ad esempio 100mm – f/2.8, si avrà a fuoco solo il soggetto principale mentre utilizzando diaframmi chiusi si avrà a fuoco anche lo sfondo.

Detto questo, la scelta del diaframma è intuitiva. Ad esempio, nel caso di panorami si dovranno preferire diaframmi chiusi, per avere a fuoco il più possibile, mentre nel caso di un ritratto può essere interessante sfocare leggermente lo sfondo – quindi utilizzare diaframmi aperti – per dare maggior risalto al soggetto.

Un strano “ritratto”, esempio di ciò che si può ottenere potendo scegliere il valore del diaframma (in questo caso molto aperto).

4. Le coppie tempo/diaframma

Ora che conosciamo tempi e diaframmi, facciamo un passo avanti e iniziamo a parlare di coppie tempo-diaframma. Supponiamo di sapere che, in determinate condizioni di luce, scattando con un trentesimo di secondo e f/5.6 (30 – f/5.6) si otterrà un’esposizione corretta. Per come sono state costruite le due scale, è automatico che anche tutte le altre coppie indicate nella tabella qui sotto produrranno esposizioni corrette, perché in ogni caso non si fa altro che raddoppiare il tempo di posa dimezzando la quantità di luce che passa per unità di tempo o viceversa.

 1 |  2   4  |  8  |  15   30  |  60  |  125  | 250 | 500 1000 
32| 22 | 16  11 |  8   | 5.6  |    |   2.8  |    2   1.4 |    1

Se le condizioni di luce cambiassero
, ad esempio in presenza di più luce, la nostra serie di coppie potrebbe modificarsi, ad esempio, così:

  4  8  | 15 | 30 | 60 | 125 | 250 | 500 | 1000 | 2000 4000 
32  | 22 | 16 11 |  8  | 5.6 |    4   | 2.8 |       |   1.4  |    1  

Ora, dato che la luce è aumentata, utilizzando un diaframma 5.6 basta un esposizione di un centoventicinquesimo di secondo per ottenere la giusta esposizione, mentre prima era richiesto tempo più lungo: un trentesimo di secondo. È come se le due scale fossero slittate tra loro di due posizioni, due “passi”. Ogni passo di questo tipo è detto, in gergo, “f/stop”, o semplicemente “stop”. Ad esempio, passare da 30 – f/5.6 a 125 – f/5.6 equivale a “chiudere” di 2 stop, o di sottoesporre di 2 stop.

Una scala di diaframmi indicativa è la seguente:

32 |  22 |  16  |  11 |  8 |  5.6  |  4  |  2.8  |   |  1.4  |  1

Questi valori, apparentemente strani, sono stati scelti in modo tale che, passando dall’uno all’altro a parità di tempo di posa, la luce che raggiunge il sensore raddoppia o dimezza. Ad esempio, con la coppia 125 – f/8 passerà la metà della luce che passa con la coppia 125 – f/5.6, un quarto di quella che passa con 125 – f/4, ecc.

In questa situazione, sapendo che tutte le coppie indicate in tabella sono equivalenti tra loro dal punto di vista dell’esposizione, potremo concentrarci sul risultato che desideriamo ottenere, ad esempio sceglieremo la coppia 500 – f/2.8 per un ritratto o 30 – f/11 per un panorama, magari con l’accortezza di usare un cavalletto visto il tempo lungo.

5. L’esposimetro

L’esposimetro è lo strumento che misura la quantità di luce, fornendoci l’insieme di coppie tempo/diaframma adatte a una determinata condizione di luce. Si attiva generalmente premendo il pulsante di scatto a metà corsa e ci restituisce qualcosa che, a seconda del programma di scatto impostato (si veda in seguito) può essere una coppia tempo/diaframma, solo uno dei due valori, o una misura di quanto si è lontani dall’esposizione corretta (un LED che si muove lungo una scala a zero centrale).

Con fotocamere esclusivamente automatiche si è costretti a fare ciò che consiglia l’esposimetro, ma anche nel caso si possegga una fotocamera più sofisticata, i fotografi alle prime armi sono portati a credere che l’esposimetro sia infallibile, e si fidano ciecamente. In realtà, non è così; al contrario, la misura dell’esposimetro va sempre interpretata. Esaminiamo di seguito i vari tipi di esposimetro e il modo corretto di interpretarne i risultati.

6. Esposimetro a media o media pesata

Questo tipo di esposimetro legge la luce su tutto il campo inquadrato, restituendo appunto un valore medio (eventualmente, una media pesata che tiene in maggior conto l’area centrale, dove normalmente si trova il soggetto). É il più semplice tipo di esposimetro, presente sulla maggior parte delle fotocamere (in molti vecchi modelli, la lettura media era l’unico tipo di lettura esposimetrica disponibile). É adatto nella maggior parte delle applicazioni, ma sbaglia nel caso dei controluce(presenza di una sorgente luminosa alle spalle del soggetto). In questi casi, infatti, al fotografo interessa solo la luce proveniente dal soggetto – è il soggetto che deve essere esposto correttamente, non il faretto dietro di lui! – mentre l’esposimetro considera anche quella alle sue spalle. Risultato: il soggetto risulterà troppo scuro.

Alcune condizioni tipiche di controluce sono: sole o altra sorgente di luce alle spalle del soggetto; ampia porzione di cielo inquadrato; in interno, finestra alle spalle del soggetto; sfondo molto chiaro (es spiaggia bianca o neve). A volte, basta davvero poco. Provate, ad esempio, a fotografare una persona di fronte a una parete bianca e poi di fronte a uno sfondo scuro, e fate caso a come cambia la coppia tempo/diaframma che la macchina imposta … pur con stesso soggetto principale!

Una soluzione, quando si utilizza un esposimetro a media e ci si trova in condizione di controluce, consiste nella “sovraesposizione“: anziché accettare il suggerimento dell’esposimetro, si scatta con 2 o 3 “stop” in più, a seconda dell’entità del controluce. La sorgente di luce alla spalle apparirà “bruciata”, ma il soggetto sarà esposto correttamente.

Agendo sulla ghiera secondaria o premendo il pulsante nel riquadro si attiva la compensazione dell’esposizione. Premendo il pulsante indicato dal quadrato si attiva il blocco esposimetrico (fotocamere EOS e PowerShot).

Avendone la possibilità, un’altra soluzione – anche migliore – consiste nell’avvicinarsi al soggetto o zoomare con l’obbiettivo, in modo da escludere la sorgente del controluce (o inquadrare leggermente più a lato un soggetto dai colori simili), effettuare la misura, memorizzarla, ritornare al punto di partenza per ricomporre l’inquadratura desiderata e scattare con le impostazioni memorizzate. Questa operazione è facilitata se la fotocamera dispone della funzione “blocco esposimetrico”, che consente appunto di memorizzare dei parametri di scatto e riutilizzarli in seguito, ma si può fare in ogni caso utilizzando il programma di scatto manuale.

NOTA: Considerazioni analoghe a quelle fatte per i controluce valgono quando, al contrario, si desidera fotografare un soggetto chiaro su uno sfondo molto scuro. In questo caso, il fotografo dovrà sempre effettuare una compensazione, ma questa volta negativa (sottoesposizione).

7. Esposimetro a lettura valutativa, o “matrix”

Nelle fotocamere moderne, la lettura valutativa prende spesso il posto, o perlomeno si affianca, alla lettura media. Ancora, la luce viene misurata su tutto il campo inquadrato, ma suddividendolo in un certo numero di zone (a seconda del modello, da 5 a decine di zone diverse) e considerando ciascuna di queste zone singolarmente. In questo caso, la fotocamera dovrebbe rendersi conto di eventuali situazioni di controluce, dato che misurerebbe in una zona un valore di luminosità molto più alto delle rimanenti. In pratica, sbaglia comunque, ma in modo meno marcato del caso precedente. Valgono le considerazioni fatte sopra, con la differenza che in questi casi l’entità della correzione è inferiore.

8. Esposimetro a lettura parziale o spot

Concettualmente diverso, questo tipo di esposimetro misura la luce solo in una ristretta zona del campo inquadrato, tipicamente al centro (ma la lettura può anche essere collegata al punto di messa a fuoco). A seconda dei modelli, l’area valutata può andare dal 10% a meno dell1%. Si tratta di un esposimetro ideale da utilizzare in presenza di controluce: leggendo solo dal soggetto principale, di fatto non è ingannato dalla luce alla spalle. Come è facile immaginare, però, sarebbe assai complicato utilizzarlo per un panorama (su quale punto effettuare la misura?). L’ideale sarebbe avere a disposizione sia la lettura spot sia una delle precedenti, e utilizzare la spot solo per i controluce. Questo è quello che accade, in effetti, in tutte le fotocamere professionali o prosumer moderne, dotate tipicamente di tripla lettura esposimetrica (media pesata, valutativa, spot).

Nel prossimo articolo esamineremo i programmi di scatto, parleremo di sensibilità e spiegheremo come preparare la fotocamera per la prima sessione fotografica.

I contenuti e le notizie riportate in questo articolo sono state tratte dalla rete. Autore: Nicoletta Ghironi

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