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Dammi tre parole, per inciso [+TEST]

Dammi tre parole, per inciso [+TEST]

di Giovanni Sodano Aprile 01, 2020

L’unico modo per usare bene le parole è conoscerle a fondo. 

Esse possono avere diversi usi: possono essere formali e informali, tecniche, familiari oppure anche ironiche. 

Le parole segnano le epoche e possono delineare uno o più aspetti della nostra società.

Possono essere considerate come degli organismi viventi che nascono, vivono una vita più o meno lunga e dopo vengono dimenticate e muoiono. 

Il nostro linguaggio, tuttavia, è regolato da meccanismi grazie ai quali alcune parole nascono da altre che già esistono e questo processo, il più delle volte, può riguardare sia il significato che la forma.

Le parole sono pietre che rotolano e si impregnano di storia

Sono pietre che trattengono un poco di ogni epoca che attraversano.

Esistono parole d’amore e parole di odio; ci sono parole giuste, ma soprattutto parole sbagliate.

Conosciamo parole che ci fanno emozionare, che sprigionano sentimenti attraverso i nostri sensi, che hanno un sapore, un odore o un colore, che ci ricordano una superficie levigata oppure ruvida. 

Le parole evocano, stimolano, creano immagini nella nostra mente

De Andrè cercava di imparare a memoria la Treccani. Edgar Lee Masters, invece, l’Enciclopedia Britannica. D’Annunzio sfogliava il vocabolario del Tommaseo alla ricerca di nuove parole e diceva esserci una sola scienza al mondo, suprema: la scienza della parole

Chi conosce questa, conosce tutto, perché tutto esiste solamente per mezzo del Verbo. 

Anche Primo Levi nell’Altrui Mestiere scriveva che i suoi familiari ridevano benevolmente quando lo vedevano con in mano un dizionario o un vocabolario invece che con un romanzo o con un trattato.

Mirabile invero è la vita che anima questi minuscoli organismi, cioè le parole, ombre seguaci, segni di idee e cose: recano in sé uno spirito di vita, paiono nuove e sono antiche, risorgono come Fenicie dalla loro morte, nascono per connubio e per gemme, da bruchi divengono farfalle, hanno percorso strano e tortuoso viaggio, son peregrine lontane ovvero fiorirono al nostro sole, ma tutte rispondono a una filosofica legge e a una varia necessità; hanno un loro movimento, quasi orbita di moto, una loro vita, o molte volte secolare od effimera, vita solitaria o mondana
Alfredo Panzini, Dizionario moderno, 1905

Le parole, utilizzandole, acquistano nuovi significati 

Manzoni notava che se ci si attenesse all’etimologia, alcune espressioni del linguaggio diventerebbero assurde. 

Facciamo qualche esempio:

    • nell’espressione linguaggio infantile, la parola infantile deriva dal latino. infans -antis, ovvero che non sa o non può parlare 
    • in giovin signore, la parola senior deriva dal latino senex che vuol dire letteralmente vecchio
    • mentre in donna di servizio, donna deriva da domina che è la padrona

Mogol, in un’intervista di più di vent’anni fa, diceva di utilizzare frequentemente parole inusate e frasi auliche in quanto, sosteneva,

mi è sempre piaciuto esprimermi liberamente e trovo che sia importante arricchire il vocabolario della musica popolare. 

L’aggettivo uggioso, ad esempio, che tanto piaceva a Carducci e D’Annunzio, nel giro di pochissimo tempo è tornato sulla bocca di tutti e sopravvive ancora oggi nel nostro lessico quotidiano.

Ma che colore ha
una giornata uggiosa?

La lingua cambia e con essa le nostre certezze

Non più di 10 anni fa, se sentivi parlare di BOT potevi immaginare i titoli dei piccoli risparmiatori. Oggi invece Alexa e Siri sono diventati di famiglia.
I computer, quando sono nati erano persone. Il termine deriva da “to compute”, calcolare. Il computer era l’individuo che eseguiva i calcoli. Per intenderci, oggi abbiamo il driver che guida e il performer che si esibisce.

Tutte le parole che usiamo, un tempo, sono state parole nuove, e da esse ne sono nate altre, inevitabilmente.

Ecco allora che possiamo parlare di pseudoitalianismi, cioè parole mai usate in italiano oppure utilizzate con un significato differente.

Dal nostro cappuccino sono nati, per esempio, il mokaccino o il frappuccino (che non è un frate cappuccino), mentre dall’espresso sono nati brand famosi come Nespresso o Respresso, e così via.

All’estero, se in un bar ordini un latte, ti portano un caffellatte, se chiedi di sorseggiarlo in un tavolo alfresco ti fanno accomodare all’aperto e se  in una pizzeria chiedi di condire la pizza con i pepperoni, ti viene servita con un salame piccante. 

Ma a proposito di pizza, la parola nasce prima dell’anno mille. In un documento napoletano del 966 si legge pititie mentre nel 997, in un contratto conservato a Gaeta, pur senza alcun riferimento a quelle attuali, si parla proprio di pizze.

Nel 1891 nel ricettario La scienza in cucina la “pizza alla napoletana” era un dolce con crema di ricotta e trito di mandorle. E solo pochi anni prima, secondo la tradizione, nel 1889, il cuoco napoletano Raffaele Esposito creava la pizza margherita in onore della prima regina d’Italia. 

Nella storia della nostra lingua, però, ci sono anche altre pizze, non commestibili. A Roma, per esempio, potrebbero servirti un ceffone: 

Te pijo a pizze a due a due finchè non diventano dispari

 

diceva Tomas Milian quando interpretava Er Monnezza.

E a proposito di film, le pizze sono le bobine di pellicola nel gergo del cinema oppure il pubblico schiacciato nei teatri sovraffollati.

Eppure Matilde Serao era convinta che:

La pizza, tolta dal suo ambiente napoletano, pareva una stonatura e rappresentava una indigestione

La verità è che tutti noi tendiamo a usare sempre le stesse parole, o quelle che sentiamo dire agli altri, o peggio ancora, quelle che sono di moda in quel momento. E così, come ho detto a inizio articolo, alcune parole nascono ed altre muoiono, ma non è questo il punto. Il problema delle parole è nell’uso che se ne fa, o nell’abuso, in qualche caso.

Come diceva Nanni Moretti in Palombella rossa nel 1989: 

Le parole sono importanti

Il mantra di questo articolo, quindi è il seguente:

Non sprechiamole!

A proposito, perché non metterti alla prova? Navigando in rete, in questi giorni, mi sono imbattuto in un test messo a punto dall’università Bicocca di Milano insieme con quella di Ghent in Belgio che richiede non più di quattro minuti per essere svolto.

Il test del vocabolario misura la tua conoscenza delle parole sottoponendoti parte del vocabolario italiano insieme a parole inventate e tiene conto anche del tempo che impieghi per dire se conosci o meno quello specifico termine.

L’obiettivo è quello di coinvolgere il maggior numero di persone possibile in un compito di cruciale importanza per lo sviluppo della scienza del linguaggio e, come spiega Marco Marelli (ricercatore del dipartimento di Psicologia della Bicocca), l’esperimento serve esclusivamente a raccogliere dati anonimi ai fini statistici.

Ecco il link al test: Test del Vocabolario

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