Ciuccio e smartphone: riflessioni, generazioni e marketing

Non so ancora che tipo di articolo sarà questo e non so nemmeno come lo chiamerò, né quale sarà l’argomento principale. Quello che intendo fare, infatti, è una riflessione. Tale riflessione nasce in seguito alla lettura, un po’ di tempo fa, di un pezzo su un quotidiano cartaceo e alla successiva recente discussione con un mio collega. Tutto è nato più meno così:
“Il 65% dei bambini alle elementari farà un lavoro che oggi non esiste.”
Sappiamo fin troppo bene che il mercato del lavoro è in continua evoluzione, e che tale evoluzione spesso è iperbolica. Essa segue sempre le innovazioni della società ed è direttamente proporzionale a quelle tecnologiche.
Le professioni cambiano così come cambiano i prodotti (il ciclo di vita è di circa tre anni) e i prodotti cambiano come cambiano le generazioni.
Le generazioni cambiano perché muta il sistema di educazione. Tale sistema viene trasmesso alle nuove generazioni da parte di docenti di una generazione diversa dalla loro. I docenti, a loro volta, sono stati istruiti da una generazione ancora diversa, e così via, all’infinito.
Dopo un po’ di tempo i modelli didattici non funzionano più a causa del cambiamento della società, degli stili di apprendimento e dell’impatto tecnologico sulle generazioni in divenire. Questi cambiamenti alterano le capacità e le competenze che fino a pochi anni prima erano alla base dei modelli ritenuti essenziali per entrare nel mondo del lavoro e per restarci.
Di quale generazione fai parte?
Io faccio parte della Generazione Y (che in inglese si pronuncia così e che per i napoletani fluenti è tutto un programma), o Generazione Next (generazione successiva), o Net Generation (generazione della rete), oppure Millenials (siamo indecisi sul nome che abbiamo, figuriamoci su tutto il resto!).
Con uno qualunque di questi termini si indicano tutti i nati fra i primi anni ottanta e la fine degli anni novanta. Siamo la generazione del millennio, abbiamo una maggiore familiarità con la comunicazione, con i media e le tecnologie digitali. Abbiamo un approccio educativo fortemente tecnologico e neoliberale. Siamo la generazione di MTV, degli SMS e di Napster. Abbiamo imparato a comunicare in maniera sintetica e con pochi caratteri. Il mercato ci ha seguito.
Simon Sinek, scrittore, formatore e marketer anglo-americano ha spesso trattato la questione dei Millenials: durante uno dei suoi TED Talks ci ha definiti come “difficili da gestire, come persone che pensano che tutto gli sia dovuto, come narcisisti ed egoisti, dispersivi e pigri”. Secondo Sinek il nostro brutto carattere è dovuto alla “strategia fallimentare di educazione familiare” che non ci ha preparato alla vita reale e non ci ha insegnato a fare affidamento sulle nostre forze.
Siamo stati i primi ad affrontare la Grande recessione ovvero la crisi economica a cavallo tra il 2007 e il 2010.
Benissimo, ma prima?
Quando ci si riferisce al marketing ed alle tendenze di mercato, la suddivisione tra le generazioni aiuta a inquadrare i comportamenti delle persone. Una generazione, infatti, identifica un gruppo di individui o quantomeno cerca di isolarne alcune caratteristiche o abitudini derivanti dalla loro esperienza.
Ecco, in ordine di prossimità, le generazioni fino alla Y.
Tradizionalisti, anche detti The Silent Generation, ovvero i nati tra il 1925 e il 1945. Ancorati ai valori e alle tradizioni, credono fortemente nella famiglia, nel matrimonio e nel lavoro. Hanno vissuto la guerra e temono i cambiamenti. Ripudiano, quasi completamente, qualsiasi tecnologia.
Baby Boomers, cioè i nati tra il 1945 e il 1964. Sono i figli dell’esplosione demografica. Sono ottimisti, consumisti e individualisti. Si indebitano, acquistano a rate, amano il loro lavoro.
A seguire c’è la generazione X che racchiude coloro che sono nati tra il 1963 e il 1980. Non hanno un profilo ben definito, appaiono cinici, scettici e con pochi valori. Tuttavia sono molto intraprendenti e tecnologici. Vivono negli anni dell’espansione di internet.
Poi c’è la generazione Y o più comunemente i Millenials, di cui abbiamo già parlato.
Per fissare nella mente le differenze generazionali, ho trovato sul web un’immagine che rende l’idea. Eccola.
Generazione Z, cioè?
Dopo la Y c’è la Z. La generazione Z. Appartengono a questo gruppo tutti i nati tra la seconda metà degli anni 90 e l’anno 2010. Alcuni studi stimano che solo negli USA sono circa 60 milioni e rappresentano quasi il 26% della popolazione totale con un potere d’acquisto annuo di 44 miliardi di dollari per sé stessi e 200 miliardi grazie all’influenza che hanno sui genitori. Essi, a differenza dei millenials, sono dei trendsetter: seguono le mode e sono iperconnessi. Sembra parlino una lingua straniera, si muovono con agilità tra Whatsapp e Instagram. Questa generazione non ha mai usato un telefono che non fosse uno smartphone, non sa cosa sia un 56K e dal punto di vista del marketing è la più ricettiva rispetto ai contenuti e/o ai messaggi personalizzati.
Ciò nonostante, i Gen Z sono parecchio determinati nel proteggere la loro privacy e, per questo motivo, non bisogna essere pressanti o invadenti quando si cerca di comunicare con loro. Questo dato viene da una ricerca fatta da IBM secondo la quale due terzi del campione intervistato non si sente a proprio agio nel condividere i dati personali e le proprie informazioni di acquisto.
Fanno parte della generazione Z la maggior parte di coloro che lasciano i feedback ai brand, dunque, si fidano fortemente dei loro coetanei e delle loro esperienze di acquisto e preferiscono utilizzare social dove i genitori non sono presenti (circa il 34% non usano facebook e pensano che esso sia un posto per vecchi). Desiderano rimanere anonimi, usano Snapchat, Whisper, Sarahah. Come dire: “Quello che succede nel Fight Club, rimane nel Fight Club”.
L’unico modo per coinvolgerli, dal punto di vista del marketing, è parlare con loro utilizzando canali diretti. Questi giovani, infatti, conoscono per la prima volta un prodotto grazie alle “storie sponsorizzate” o ai “direct” e prima di acquistarli approfondiscono su Youtube consumando contenuti di influencer e vlogger.
Comprendere in che modo gli adolescenti utilizzano i social network durante il processo di acquisto è la chiave per veicolare i messaggi più efficaci sulle piattaforme giuste. Anche perché, rispetto ai Millenials, essi sono più tolleranti nei confronti dell’advertising (ben fatto).
Sperimentazione e Influencer
Un aspetto da non sottovalutare, che i grandi player del mercato stanno già sfruttando, è la volontà di sperimentare cose nuove degli Gen Z.
Da un sondaggio fatto da Accenture è emerso che il 73% degli acquirenti utilizza (o non vede l’ora di utilizzare) i comandi vocali per effettuare un ordine e il 71% apprezza particolarmente gli strumenti che semplificano gli acquisti (come per esempio i Dash Button di Amazon).
Gli influencer, spesso Millenials, hanno dovuto adattare il loro communication model per poter parlare alla Gen Z. Le opinioni, infatti, perdono di credibilità quando sembrano costruite o forzate. Le celebrity devono mettere in secondo piano i prodotti rispetto alle loro vite, che poi sono, ciò che ai follower interessa di più.
I Gen Z seguono gli influencer (o per meglio dire i social influencer, ma di questo, forse, ne parlerò in un altro articolo) perché desiderano essere come loro, e più le celebrity hanno cose in comune con essi, più loro si lasciano influenzare.
Visioni
Rispetto alle generazioni precedenti, infine, i Z hanno una vision del futuro più rosea: tra le loro priorità c’è sicuramente quella di vivere una vita agiata e trovare un buon lavoro per diventare persone di successo. Ciò che il marketing deve fare, quindi, per vendere a questa generazione, è incoraggiare questi prospect prima ancora di proporre semplici prodotti.
Con la Z terminano le generazioni
Assolutamente no. Si ricomincia dagli Alfa. Appartengono a questa generazione tutti i nati a partire dal 2010. Si tratta della prima generazione nata connessa al web e il futuro che ci fanno prospettare è a dir poco strano.
Il sito di ricerche Axios scrive di loro che “sono tecnicamente competenti, sempre connessi e il più anziano di loro ha circa 9 anni”.
Noi marketers abbiamo il dovere di studiarli e di comprenderli per il semplice motivo che rappresentano il nostro prossimo futuro. Nel 2020 i Millenials compiranno 40 anni e i Z diventeranno maggiorenni. Gli Alfa, per inciso, sono i figli dei primi e i fratelli dei secondi.
Essi sono:
Tecnologici: (abbiamo già detto che) nascono connessi. I primi monitor sono posizionati di fronte a loro insieme al ciuccio.
Informati: gli Alfa si fidano di noi, sono abituati a ricevere informazioni e comunicazioni in maniera istantanea ed è nostro dovere non deluderli.
Diversi: vivranno con la parità di genere sul posto di lavoro, faranno dell’inclusività un valore fondamentale e dell’uguaglianza un elemento imprescindibile per la civile convivenza.
Più soli: il matrimonio e i figli per gli Alfa arriveranno tardi, proprio come per le precedenti generazioni. Rimarranno giovani per molti anni e vorranno continuare a sentirsi tali per altrettanti.
Istruiti: se i Z sono stati definiti come la generazione più istruita della storia, gli Alfa li supereranno, inevitabilmente.
Solo in Italia superano i 3 milioni e oltre 500 mila sono in prima o in seconda elementare (Istat, gennaio 2017).
Esiste una scienza, l’etnografia digitale, che studia in che modo le popolazioni condividono i contenuti e si relazionano in rete. Più che studiare, è più corretto dire che questa scienza carpisce, ascolta e analizza i perchè profondi che si trovano alla base di determinati comportamenti sociali.
Fare etnografia digitale significa scrivere di un insieme di persone in Rete, descrivere il loro punto di vista sul mondo, partendo dall’interpretazione di linguaggi, comportamenti, relazioni.
(Alice Avallone, People watching in rete)
Perché, ad esempio, gli Alfa hanno lasciato Facebook in funzione di TikTok? La risposta è semplice. Questa nuova generazione non ha necessità di archiviare contenuti che preferisce creare di continuo..
Grazie alle email e agli SMS, gli esseri umani Y hanno scritto davvero tanto. Tuttavia, oggi, il trend sta cambiando in funzione di un ritorno all’oralità.
Sono nati e si sono evoluti i contenuti vocali con i Z e adesso, con gli Alfa si dialogherà direttamente con la tecnologia, anche per cose estremamente futili.
Inizieremo a parlare con le macchine e a dar loro ordini. Creeremo con la tecnologia una relazione ossessiva e affettiva. Ci affezioneremo alle abitudini di dialogo, creeremo empatia. I nostri giovani Alfa trascorreranno la vita completamente immersi nella tecnologia.
Ci sarà una totale fluidità di genere, maschio e femmina saranno categorie del tutto superate e gli stereotipi verranno condannati; verrà debellata ogni forma di sovranismo. La generazione Alfa non avrà il concetto di confine. Online e offline perderanno i loro contorni definiti, confondendosi. Allo stesso modo non sentiranno di appartenere a una nazione, ma di essere abitanti del pianeta. Stanno crescendo in seguito a scelte molto precise dei genitori, come la salvaguardia del pianeta, la riduzione degli sprechi e l’utilizzo di prodotti sostenibili, ma si ribellano ad essi e all’esposizione cui li hanno sottoposti sui social. Cercheranno l’anonimato e saranno inevitabilmente più attenti alla privacy.
Sono consumatori particolarmente esigenti e clienti inevitabilmente infedeli.
Imparano per immagini, apprendono e parlano con almeno due mesi di anticipo rispetto ai loro predecessori. A tavola sentono parlare di terrorismo e di bullismo, sono i primi a riconoscere in TV l’uomo nero che i genitori e i nonni riuscivano a stento a immaginare.
La relazione che hanno con la tecnologia ha il potenziale di stravolgere radicalmente i meccanismi mentali e di percezione del mondo. Dopo l’internet delle cose dobbiamo prepararci all’Internet of Toys: i giocattoli connessi diventeranno la normalità e i bambini non riusciranno più a farne a meno.
I brand dovranno rivedere ancora una volta le logiche della comunicazione: dovranno apprendere e parlare con il linguaggio della Generazione Alfa ed aiutarli ad ottenere ciò vogliono o che si aspettano in maniera estremamente veloce e reattiva. Bisognerà lavorare ancora di più sul marketing delle emozioni perché se non sei percepito come utile allora non esisti.