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Cerco un centro di “granita” permanente

Cerco un centro di “granita” permanente

di Giovanni Sodano Agosto 05, 2020

«Chi si ricorda più della neve che i carretti portavano giù dalle neviere di montagna, coperta di sale e paglia, e di cui per le strade si gridava la vendita e dalle case si accorreva a comprarla a refrigerio delle mense estive? Due soldi di neve, quattro soldi: e la si metteva nell’apposito incavo di certe bottiglie (non ne ho più viste in giro), a far fresca l’acqua, a rendere quei fortissimi vini rossi all’illusione della leggerezza. Mezza lira di neve poi bastava a gelare quell’insieme di acqua, zucchero, limone e bianco d’uovo battuto a schiuma, che era la granita: la granita di una volta che ancora, fortunatamente, in qualche paese fuori mano è possibile trovare.»

Leonardo Sciascia

La neve veniva trasportata a valle dall’Etna in contenitori di piombo fuso avvolti con sale, felci e yuta. Veniva poi “cunzata” cioè condita con succo di limone e zucchero e servita così fredda e implacabile. Nasceva la granita come la conosciamo oggi, nel secolo a cavallo tra il 1600 e il 1700 in provincia di Catania e da lì sbarcava a Parigi, in Francia, macinando consensi e apprezzamenti da parte dei signore che frequentavano i caffè.

Ma la storia della granita, in realtà, è ben più antica e risale alla dominazione araba in Sicilia (827-1091). Gli arabi, infatti, importarono la ricetta delle sherbet, una bevanda aromatizzata alla frutta che si serviva ghiacciata.

Durante l’inverno i “nivaroli” siciliani si recavano sui monti per raccogliere le neve e conservarla all’interno delle “neviere” per quando sarebbe arrivato il caldo della stagione estiva. La neve veniva coperta con terreno e felci e successivamente pressata fino a diventare un blocco di ghiaccio. D’estate questi enormi blocchi di ghiaccio venivano tagliati a pezzi e venduti così o utilizzati per la preparazione delle “grattate”. La grattata, in siciliano rattata era il nome originario della granita. Esso deriva dal procedimento utilizzato per la preparazione. Il ghiaccio tritato veniva insaporito con succo di limone e successivamente addolcito con l’aggiunta di zucchero.

La preparazione della ricetta era talmente semplice e il risultato così buono che ogni cultura, nel corso del tempo l’ha fatta sua, modificandola e adattandola ai suoi bisogni, alle materie prime locali ed alle proprie tradizioni.

É il caso di dire, dunque: paese che vai, granita che trovi.

A Roma c’è la grattachecca, in Giappone il kakigori, in Colombia il cholado, in Cina il baobing, nelle Filippine si può gustare l’halo-halo, mentre in Corea il patbingsu; in Malesia l’Ais kacang e in USA lo Snow Cone; A Portorico c’è la piragua, nell’Indonesia esiste l’es campur e nelle Hawaii troviamo lo shave ice.

Ecco una galleria di granite nel mondo pubblicata su Wired.

Naming

Il nome granita risale invece al 1863 e deriva da “granire”, verbo che vuol dire “prendere la forma di grani o granelli”. Con questo nome si indicava l’aspetto particolarmente granuloso del ghiaccio tritato.

Concludendo, come direbbe Battiato nei più caldi pomeriggi di agosto: cerco un centro di gravità granita permanente.


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